Sono originario della provincia di Lecce.
Quando per vari motivi sono venuto a
conoscenza di questo titolo non ho potuto fare a meno di interessarmi e ho
cercato in giro informazioni su autore e storia.
Rua si dimostra narratore
abilissimo. La lettura ti appassiona fin da subito e non si appesantisce mai
neppure nell’intricarsi della trama, man mano che si legge.
Il libro di fatto ha
due protagonisti. Un ispettore di pubblica sicurezza torinese e un tossicologo
napoletano specializzato in veleni da morsi di animali, soprattutto aracnidi, il
migliore e più accreditato nel suo campo. Il periodo storico, un’Italia appena
riunifica nel regno sabaudo. I due caratterialmente e fisicamente sono agli
antipodi, splendidamente introdotti nei primi capitoli che riescono non solo a
presentarli ma a marcare la loro storia personale, i loro conflitti interiori la
loro profonda umanità. La loro convivenza forzata necessaria all’indagine
richiesta da un barone locale di una cittadina nel Salento e concessa dal
ministero dell’interno è da subito lo scontro di due mondi. Il pragmatismo e il
rigore del piemontese Dell’Olmo, chiaro omaggio a un altro ben più famoso
investigatore della letteratura che il nome richiama fin troppo facilmente;
contro l’approccio romantico e distaccato del duca Carlo Caracciolo De Sangro,
appassionato medico napoletano dalla mentalità aperta, curioso e mai pago di
conoscenze scientifiche ma che si trascina fin dall’infanzia drammi e fantasmi
interiori. Uno degli aspetti che rende piacevole il libro è l’evoluzione del
rapporto dei due, che sullo sfondo della vicenda e dell’indagine sulle morti per
morsi da tarante (o presunte tali) diventa sempre più smussato man mano che i
due si conoscono e imparano ad apprezzarsi a vicenda, a scoprirne i lati più
oscuri, le sofferenze fino a culminare nel finale in una vera e propria
amicizia. Ed è proprio questa comprensione reciproca che crea la sinergia che
permette ai due di svelare il mistero fino ad individuare il vero colpevole (con
un notevole colpo di scena ). Come detto il romanzo è un thriller, ma definire
l’opera di Martin Rua solo un giallo è riduttivo. Ogni tanto la narrazione per
mezzo dei suoi personaggi, prende una pausa per inserire qua e là riflessioni
sociali e storiche, sulla questione meridionale, il brigantaggio, la
trasformazione che da lì a poco la rivoluzione industriale avrebbe compiuto. E
per ultimo ma non meno importante l’autore fa una vera e propria dichiarazione
d’amore per il Salento, descrivendo meravigliosamente paesaggi tipici della
macchia salentina, fatta di uliveti e vigneti con le tipiche masserie e con una
ricostruzione della vita di quei borghi agricoli molto accurata. In alcuni
passaggi, sembrava di essere lì con i personaggi a sentire il caldo di prima
estate e ammirare la natura e le campagne che, personalmente conosco bene
essendoci cresciuto. Mi auguro che le vicende dei due protagonisti, e perché no,
magari anche singolarmente proseguano nelle prossime opere di questo valido
autore.

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